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Dalle spose bambine ai canti di Balistreri: IBLA torna con ‘Rituale’ e sfida i destini già scritti

IBLA, nome d’arte di Claudia Iacono, è cantante, autrice e ricercatrice vocale originaria di Agrigento. Dopo una formazione classica, sviluppa un percorso artistico che unisce tecnica canora, teatro, pratiche espressive del corpo e uno studio profondo delle tradizioni popolari siciliane. La partecipazione ad Amici di Maria De Filippi nel 2021 le dà visibilità nazionale, ma non ne altera la rotta: per lei la musica rimane indagine culturale, attraversamento di linguaggi e chiave interpretativa del reale.

Dal 2015 al 2025 porta in Italia e in Europa l’opera e la memoria di Rosa Balistreri, non come imitazione, ma come dialogo critico e vivo con quell’eredità, collaborando anche con Treccani in progetti di divulgazione. La sua poetica nasce in uno spazio in cui rito, voce e radici non sono metafore, ma strumenti per comprendere il mondo. Il Sud, per IBLA, è origine, lingua e orizzonte cosmologico.

Oggi sta definendo un proprio codice sonoro, in cui si intrecciano oralità, folklore, elettronica e sperimentazione vocale: una tradizione che smette di essere semplice custodia del passato per trasformarsi in grammatica contemporanea capace di leggere e raccontare il presente.

Tra consuetudine e incanto: la Sicilia che intreccia i destini

Per lunghissimo tempo, in Sicilia come in molte regioni del Mediterraneo, il matrimonio non è stato l’esito di un sentimento condiviso, ma un accordo tra famiglie: un contratto sociale ed economico che spesso si consumava sul corpo delle figlie. Le coordinate geografiche mutano, ma l’impianto non scompare. Oggi, secondo i dati UNICEF, oltre 640 milioni di donne nel mondo portano ancora i segni di un’unione imposta prima della maggiore età, una pratica che, in vaste zone dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia meridionale, continua a essere determinata da pressioni comunitarie, equilibri familiari, scambi economici, codici d’onore e tradizioni che resistono al tempo. Non si tratta di un confine netto tra ieri e oggi, ma di una linea continua che si trasforma, cambia nome, migra, ma raramente si spezza davvero.

Per IBLA il passato non è mai un museo da osservare a distanza: è un terreno fertile, un corpo vivo, una sorgente di senso. È una rete di logiche antiche che offre strumenti per leggere ciò che accade, un luogo dove il visibile e l’invisibile comunicano liberamente. In Rituale questa visione, che potrebbe sembrare astratta, diventa suono e gesto: prende la forma di un richiamo alle pratiche magiche della Sicilia interna, dove un tempo le magare legavano i destini di due persone sussurrando formule d’amore e invocazioni tramandate. Un frammento di un pensiero che vedeva il mondo come un’unica tessitura, in cui il sacro convive con la quotidianità e canto, incanto e sopravvivenza sono parte della stessa lingua.

Dentro il ‘Rituale’: IBLA e la rivoluzione silenziosa delle radici

Una ragazza di sedici anni, consegnata a un uomo che non ha scelto, con un destino tracciato da mani estranee e il silenzio come unico spazio in cui respirare. Non è un frammento da un vecchio documentario antropologico: è un’immagine arcaica che ritorna a bussare al presente. Da qui prende vita “Rituale”, il nuovo singolo di IBLA, prodotto da James & Klive e Salvo Scibetta per The Orchard.

La genesi di “Rituale”

Io scrivo sempre, ovunque, sia sulle note del cellulare, che su dei fogli, che sul computer. Mi piace esternare e nutrire la mia creatività, gettare via parole che in quel momento sono nella mia testa.” Così IBLA ci racconta la genesi di Rituale, che affonda in una scintilla antica, nata tra le pagine di Sud e magia. È lì che IBLA incontra un Sud arcaico, intriso di simboli, gesti sopravvissuti al tempo e rituali d’amore che, pur descritti come frammenti di un’antropologia remota, rivelano ancora oggi una continuità sotterranea capace di attraversare paesi, famiglie, generazioni. Da quella scoperta inattesa, nasce una storia che inizialmente sarebbe dovuta diventare un romanzo: una trama fatta di memoria, retaggio e immaginazione. Ma a interrompere la scrittura è arrivata una melodia in finto italiano-siciliano, un idioma, più evocazione che lingua, intuitivo e tellurico, che ha imposto un’altra via. Da quel suono primordiale è sbocciato un testo che parlava di libertà, ferite, destino e ribellione, e il romanzo si è dissolto naturalmente nella musica: perché certe verità chiedono il respiro vibrante di un canto, non la linearità di una pagina.

Il bisogno di scrivere, la paura di perdere

Scrivere, per IBLA, è un gesto vitale. Annota ovunque, come se le parole fossero acqua da non lasciar prosciugare. E tuttavia, dietro quella urgenza creativa si nasconde un timore profondo: la paura che il passato si dissolva, che i saperi dei nonni, soprattutto da quando è venuta a mancare la sua, svaniscano nel silenzio del tempo. Così, attraverso i social, prova a diventare un ponte: invita a interrogare la memoria, a cercare la saggezza degli anziani, a custodire ciò che siamo stati per capire ciò che stiamo diventando. Perché senza il passato, avverte, l’umanità è destinata a smarrirsi nelle stesse ombre che già l’hanno ferita.

Una voce antica che parla al presente


In Rituale un’immagine antica torna a bussare con forza: quella di una ragazza di sedici anni a cui il destino è stato imposto. Ma la sua voce, pur nel dolore, vibra nel presente. Il tema è ancestrale, eppure incredibilmente contemporaneo. La libertà individuale non conosce epoche, e la vicenda narrata da IBLA si allarga oltre i confini della Sicilia e dell’Italia, per toccare terre dove, ancora oggi, le spose bambine sono una realtà crudele. Attraverso questa parabola arcaica, la cantautrice racconta un’altra verità: non tutti gli oppressi diventano oppressori. Anna, la protagonista, rifiuta sia l’autorità del padre sia la tentazione di replicare la violenza attraverso la magia popolare. La sua è una ribellione luminosa, che parla anche di IBLA stessa, delle sue domande sulla musica, sulla fama, sulla scelta autentica contro l’imposizione.

Il nodo centrale: chi sceglie per noi?


Al centro della narrazione si erge l’immagine dolorosa e potente di una sposa bambina.
Il racconto non è più soltanto storia, ma condizione; non è più un episodio, ma una lente che ingrandisce l’eredità invisibile di imposizioni, aspettative e ruoli. IBLA scardina il punto esatto in cui la tradizione smette di essere fondamento e diventa recinto; dove l’appartenenza si converte in prescrizione; dove l’identità somiglia più a un perimetro assegnato che a un territorio scelto.

Rituale mette allo scoperto l’istante in cui una donna riconosce il copione che le è stato cucito addosso, lo sfila dalle mani altrui e si chiede, per la prima volta, se la sua vita proceda per voce propria o per volontà altrui. È un cambio di asse: l’adesione automatica si incrina, i modelli culturali interiorizzati senza verifica cominciano a cedere, e la tradizione, per la prima volta, diventa visibile nella sua natura di comando. I cambiamenti iniziano così: con una crepa microscopica nella trama, con un pensiero che non rientra nei ranghi, con una domanda che bussa finché il muro non si accorge di esistere.

Una musica che rompe i confini

Il suono del brano compie lo stesso gesto di disobbedienza. Tamburi arcaici, tonalità folkloriche, invocazioni cerimoniali convivono con bassi elettronici, texture digitali e ritmiche urban. È una fusione che non chiede permesso, che scava il genere, che reimpiega la lingua del rito portandola fuori dalle sue funzioni originarie: la prende, la spezza, la reinventa. Il canto di IBLA si fa terrestre e ascetico insieme, come se un idioma nato per legare, assegnare, vincolare venisse sottratto al suo scopo e trasformato in alfabeto di possibilità. Non più cifra identitaria immobile, ma strumento di presa di parola: un vocabolario poetico che trasmigra dal destino scritto alla libertà pronunciata.



Un videoclip come rito che accade


Il videoclip ufficiale, diretto da Andrea Vanadia, fotografia di André Tedesco e montaggio di Eleonora Cassaro, è lo specchio visivo del brano, nato da un lavoro rigoroso e poetico. Con il regista, IBLA ha immaginato un mondo sospeso: abiti che potrebbero essere di ieri come di oggi, paesaggi che appartengono al passato ma parlano al futuro. Un’estetica senza tempo, che restituisce alla tradizione la sua natura eterna.
Rifiuta ogni folclore edulcorato. Sovrappone corpi, terra, simboli ed elementi liturgici del Sud in un processo di svelamento: il rito non rappresenta, non simboleggia; semplicemente accade. È un’esperienza visiva in cui il sacro non viene imitato, ma restituito al suo battito originario.

E mentre il tamburo batte e la voce prende corpo, resta una certezza: ciò che deve compiersi, ancora, sta arrivando.

Il silenzio che diventa rivoluzione

Ma il nucleo più profondo della canzone è il silenzio. Il silenzio come lingua negata, come unica arma possibile. Le donne, per secoli, hanno combattuto in silenzio: un’ostinata rivoluzione sotterranea che Ibla conosce attraverso le storie di famiglia. La sorella di sua nonna, costretta a un matrimonio combinato, scelse di proteggere la sorella più giovane dal medesimo destino. Un gesto nato nella discrezione, eppure capace di cambiare un’esistenza. Anche la nonna di Ibla affrontò il giudizio del paese per aver scelto l’uomo che amava, pagando con anni di silenzio imposto dalla famiglia. Quelle donne, piegate ma non spezzate, hanno costruito la libertà di cui lei oggi gode: una libertà ancora incompleta, ancora da difendere.

Il rito come spazio di riappropriazione

Rituale non è un viaggio all’indietro: è una riappropriazione. Nel suo percorso artistico, IBLA non cerca un’emancipazione privata che si auto-assolve; riapre piuttosto il luogo, simbolico e reale, in cui storie individuali e codici culturali si sfiorano, si scambiano, si contaminano. Il rito non appartiene più al passato che dirige, ma al presente che interroga. La magia, la formula, la ripetizione non sono reliquie: diventano reagenti di coscienza, strumenti di riscrittura del sé, sintassi di una nuova armonia tra corpo, voce e decisione.

Sicilia, ferita e splendore

Oggi, mentre Rituale trova il suo pubblico, IBLA guarda avanti. Sta lavorando al suo disco, a brani che hanno già preso forma e ora cercano il loro respiro definitivo nella produzione. Anche i live sono in gestazione: il sogno è iniziare dalla sua terra, per poi portare altrove la vera identità siciliana, liberandola dagli stereotipi che l’hanno sempre schiacciata. Perché la Sicilia è più vasta delle caricature che la raccontano: non è la mafia rappresentata su delle magliette souvenir, non è la lentezza come inerzia, non è la rassegnazione.

Vivere lontano dall’isola le ha aperto gli occhi: ciò che un tempo le sembrava gabbia, oggi si rivela scrigno. La Sicilia si mostra per ciò che è davvero, un intreccio millenario di popoli, un patrimonio di bellezza aspra e vertiginosa, un luogo complesso e irripetibile. E IBLA, attraverso la sua musica, vuole restituire al mondo questa verità: che la sua terra è magia, ferita, splendore. Un’isola che incanta e brucia, ma che, sempre, chiede d’essere ascoltata.

«Ho scritto “Rituale” per capire dove iniziavo io e dove finivano le voci degli altri» racconta IBLA. «Le scelte ereditate, le regole respirate come aria, le gabbie scambiate per destino: questo brano è il punto in cui ho detto basta. La libertà non si aspetta, si prende. E inizia quando smettiamo di confondere la nostra voce con l’eco delle istruzioni altrui.»

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