Intervista a Donatella Finocchiaro per Sicilia Magazine, grazie alla sua disponibilità e all’ufficio stampa Giancarlo Sozi di Woolcan. Foto Gianni Chiffi Agency.




Se guardo Donatella Finocchiaro vedo il riflesso della Sicilia: bella, solare e mediterranea al massimo. Che legami hai con la Sicilia?Ho un legame atavico, un legame forte. Mi sento come la cozza legata allo scoglio. Più o meno la metafora è questa. Quando posso vado in Sicilia anche perché lì ho tutta la mia famiglia, i miei amici storici. Vivo a Roma da cinque anni, per tanti anni sono stata fuori però ogni tanto ci vado perché le radici non possono essere staccate mai. Lo stesso di Carmen Consoli, Mario Venuti, tutti quegli artisti che viaggiano per lavoro e hanno fatto andata e ritorno tutta la vita.-Nei vari ruoli che hai interpretato quanto ti ha aiutato essere nata in Sicilia? Il carattere siciliano quanto è stato determinante? Il carattere siciliano è un carattere del Sud quindi abbastanza solare, aperto, anche se poi non è l’appartenenza alla regione a determinare il personaggio che interpretiamo. Se ci riferiamo al caso di Bellocchio che cercava una siciliana nel film “Matrimoni” e lo stesso per Emma Dante che ha sempre voluto attrici conterranee, essere siciliani è un vantaggio. Per altri registi non è così perché un’attrice appunto deve saper parlare altre lingue, deve essere anche altro. Spesso in Italia i registi pensano che se sei siciliana devi recitare solo con questa lingua e, invece non è così. Ho fatto per esempio uno spettacolo in cui ho recitato in milanese. Non sono soltanto gli uomini a saper recitare in altre dialetti. Ci sono solo degli attori che lo sanno fare e altri che non lo sanno fare. Però essere siciliano non deve essere un limite ma un valore aggiunto. – C’è un regista o collega con cui ti sei trovata meglio e per quale motivo?Uhm, meglio… Sicuramente ho avuto sempre incontri artistici importanti. L’ultimo sicuramente quello con Emma Dante mi ha dato tantissimo dal punto di vista umano e professionale, ho imparato tanto da lei ad affrontare il personaggio di Pinuccia (vedi “Le sorelle Macaluso”). Credo che lo scambio tra attore e regista sia fondamentale per un set, per un film. Senza quello non si crea quella magia, quell’andare in favore di un film. Ho avuto tanti incontri magici. Con Bellocchio era il mio terzo film, ero appena entrata in questo mondo, ero spaventata, avevo come partner Castellitto che è uno degli artisti più bravi, lavoravo con un grande maestro, ero agitatissima. Ma Marco che è un grande maestro mi ha messo a mio agio creando insieme a me questo bel personaggio che è la principessa nel suo film. I cinema è fatto di incontri come la vita. -Da quando hai cominciato è cambiato il mondo del cinema e se sì in quale direzione?Il mondo del cinema sta cambiando molto. E’ la prospettiva di guardare un film che sta cambiando anche molto perché ormai le piattaforme imperano. Il punto di vista audiovisivo sta cambiando molto. Comunque il cinema d’autore esiste ed esisterà sempre. La gente che vorrà vedere il film nelle sale ci sarà sempre. Così come i fruitori del teatro ci saranno sempre, seppure facciano parte di un pubblico ridotto. Bisogna sempre invitare il pubblico ad andare al cinema e al teatro e ritornare alla normalità perché l’arte, le sale cinematografiche, i film, gli spettacoli sono il nutrimento dell’anima. Senza questo ci si imbruttisce come in realtà ci stiamo già imbruttendo. Solo la televisione non è sufficiente. E’ in corso un imbarbarimento culturale che il Covid ha solo peggiorato allontanando il pubblico dalle sale e dai teatri che sono invece i luoghi più sicuri: non è mai avvenuto un contagio dentro una sala o un teatro. Ci sono le distanze di sicurezza, le mascherine. Insomma, basta finiamola perché i contagi stanno diminuendo. Allontaniamo la paura dalla nostra vita. – Quale è stato il film dove ti sei sentita una persona migliore umanamente dopo averlo realizzato? Il mio mestiere non può prescindere dall’essere donna, dall’essere attrice. E’ tutto insieme. Quando finisco un lavoro spesso piango perché devo salutare la famiglia che è la troupe del film. Ci si vuole bene, si crea una sinergia importante. Io vivo così il set, il mio lavoro, non può prescindere da quello che è il valore umano. Quando questo non avvien quelle pochissime rare volte, me ne dispiaccio, saluto volentieri. Magari possono capitare quelle incomprensioni magari non con la troupe ma con il regista: lì è brutto e non vedi l’ora che finisca, nasce il disagio e non c’è la sinergia. Diventa una forzatura e fortunatamente non è accaduto così spesso.-Un tuffo nel passato: com’è stata la tua infanzia a Catania?A sette anni ero sempre sugli scogli, correvo lì sopra con mio fratello Paolo, ero sempre a mare, prendevo i granchi con il cappio. Ho vissuto il mare come primo elemento. Non vedevamo l’ora di andarci durante il giorno. Mia madre preparava le insalate di riso la mattina presto e partivamo a mezzogiorno per raggiungere il mare. Questa era la bellezza di vivere la città a venti minuti dal mare. Io passato la mia infanzia a buttarmi dagli scogli. Guardavo mio fratello che si buttava a pesce. Gli amici di mio fratello erano i miei idoli che facevano i tuffi più alti, più belli, più dritti. Spensieratezza totale, allegria, mare, sole. Questa era la Sicilia e questa è tuttora e quando ci ritorno con mia figlia rivedo quei momenti, quella vogli di stare distesa al mare tutto il giorno. Mia figlia è peggio di me perché è un “pesce” e devo seguirla negli spostamenti. -Hai un aneddoto, un episodio della tua professione che ti va di raccontare? Qualcosa che è rimasto impresso, di scherzoso o altro? Un episodio riguarda l’ultimo film che abbiamo girato “Bentornato papà” di Domenico Fortunato con cui ci siamo divertiti e abbiamo riso un sacco. Domenico è uno spasso e in questo film fa anche l’attore con la parte di mio marito. Fuori scena, parlavamo del cibo pugliese e l’attrice con il ruolo di mia figlia ha la nonna che cucina bene le polpette al sugo e le abbiamo chiesto di portarcele. Nella pausa conviviale nel mio camerino, mentre mangiavamo le polpette, Domenico fa un gesto inconsulto e queste polpette finiscono sulla mia giacca rossa Dolce & Gabbana. Questi sono momenti memorabili perché eravamo “piegati in due dalle risate” e la mia giacca che è stata portata a smacchiare non è stata recuperata. -Che consigli daresti ai giovani attori siciliani che sono obbligati ad emigrare per poter lavorare?Non saprei, è complicato. Il nostra territorio è una bella realtà. Io sono cresciuta con dei bravi maestri, avevo vent’anni, ho cominciato a fare dei corsi, laboratori. I primi insegnanti sono stati Gioacchino Palumbo, Gianni Salvo, Anna Malvica. Li ho amati molto e mi hanno aiutato ad intraprendere un percorso. Nella vita di un attore ci vuole un percorso che non finisce. Il mio continua e non è facile. Fare i film giusti, indovinarli anche. L’anno prossimo arriverò a vent’anni di carriera con il cinema e ho iniziato ancora prima con il teatro nel 1996. Credo che per i ragazzi cominciare dal proprio luogo sia importante. Lì ci sono le proprie radici, la propria base da cui devono partire; poi confrontarsi con il resto, andare a Roma e a Milano e cercare i propri insegnanti. Non è detto che essere presi in una scuola di recitazione sia una vittoria, bisogna anche saperseli scegliere i propri maestri. Non siamo solo passivi. Non c’è solo la scuola di teatro, c’è anche la strada, la vita, i corsi, per esempio recarsi in Francia per quello circense, di clownery. Bisogna avere la possibilità economica, fare sacrifici ma le scuole possono essere tante. Non credo ci siano solo le scuole di teatro per insegnare questo mestiere. Ci vogliono delle guide che coltivino il talento delle persone – attori. Se incontri un insegnante sbagliato, soffoca il tuo talento. Bisogna riconoscerlo. Quando sei nel luogo giusto, respiri a pieni polmoni e lo capisci. Quando sei nel luogo sbagliato, te ne devi andare. Non è facile a vent’anni sapere riconoscere queste cose, bisogna sapersi ascoltare. Io ci sono passata, ho avuto la fortuna di incontrare le persone adatte che mi hanno dato da subito delle conferme. Io studiavo Giurisprudenza. Sono stata cacciata dal Teatro Stabile di Catania a 26 anni, appena laureata. Mi sarei potuta deprimere alla prima porta in faccia e avrei proseguito con la carriera di avvocato e invece ho dimostrato che era ingiusto quello che ho subito. Mi son detta: “Devo andare avanti” perché non basta un insegnante che ti chiude una porta in faccia. Sono stata caparbia e sapevo di essere sulla giusta strada. E’ una cosa che si sente però, certo, devi avere le conferme dalle persone che tu stimi, senza le quali non si procede. -Ti abbiamo visto nella serie tv di successo “Sorelle per sempre”, ti immaginavi questo consenso? Come facevo ad immaginare? La storia è potente, forte e molto triste. Parla di famiglia, di appartenenza, di famiglia allargata. Il messaggio d’amore di questo film è immenso perché parla di un legame figli – genitori a prescindere dall’appartenenza biologica. I figli sono figli perché ci prendiamo cura di loro, possono anche non sentire l’appartenenza per questioni biologiche perché pensano magari “questa madre o questo padre non si è mai occupato di me, non l’ho mai visto”. Se non c’è l’accudimento, la figura di madre o padre non viene riconosciuta e implica anche traumi fortissimi. Spesso è il padre a non riconoscere i figli e questo è un problema attuale e lo noto anche tra le mie conoscenze. Persino una mia amica si è ritrovata incinta abbandonata dal suo compagno e non siamo negli anni Cinquanta. Gli uomini spesso non si prendono la responsabilità di una paternità come se le donne avessero concepito il figlio da sole. Il figlio non è uno sbaglio. Lo devi riconoscere, amare, accudire e crescere. Noi donne siamo spesso vittime di un società maschilista che non impone a un padre di riconoscere un figlio: vuoi o non vuoi. La legislatura italiana e mondiale è assurda. Non ci devono essere vie di scampo umanamente.-Vanessa è stata uccisa dal suo fidanzato, era di Acitrezza e lavorava a Trecastagni. Quale è il tuo commento su questo ennesimo femminicidio?Questo tizio è andato ad uccidere con una pistola una ragazzina. Io da madre impazzirei. Qui c’è qualcosa su cui noi genitori dobbiamo interrogarci. Viene la pelle d’oca. Perché succede questo? Perché lo Stato italiano non difende le donne dai loro carnefici? E’ qualcosa che noi genitori non riusciamo a spiegare. Penso anche alla vergogna dei genitori del ragazzo – uomo che ha ucciso una ragazza. Come fanno a difendere questo carnefice: è disumano. Gli altri genitori come fanno a sopravvivere all’omicidio della propria figlia?-Cosa ti immagini nel tuo futuro?Io sono una donna poco ambiziosa nella vita purtroppo. Mi basta la mia felicità, il mio piccolo mondo. Però spero di continuare a fare il mio lavoro nel migliore dei modi. Solo questo. In questo momento, con questa guerra che stiamo vivendo, vaccino – non vaccino: tutti siamo molto a rischio, stiamo mettendo l’uno contro l’altro, stiamo vivendo un periodo terribile della storia. Spero che finisca presto. Vedo il mio futuro in base a quello che abbiamo vissuto. Un padre di 31 anni che sta chiuso a casa da due anni, un bambino costretto ad andare a scuola con la mascherina e non può toccare i suoi amici, noi che siamo bloccati in casa, persone che vengono licenziate dal lavoro perché non si vogliono vaccinare. Tutto questo deve finire.


